Citroën 2CV, nata durante la guerra e simbolo della rinascita

A cavallo tra le due guerre mondiali, l’industria automobilistica inizia a considerare l’idea di produrre auto che fossero semplici da costruire, con costi di costruzione e gestione contenuti e che potessero essere usate tanto per il tempo libero che per il lavoro.
Sono queste le premesse, nel 1936, da cui nasce l’idea in Citroën della TPV (Toute Petite Voiture, ossia vettura molto piccola), per andare incontro alle richieste di un pubblico che, per ragioni economiche, non aveva mai posseduto un’automobile. Furono necessari tre anni di lavoro al team guidato da Pierre Jules Boulanger, direttore generale di Citroën, e da André Lefebvre, il geniale ingegnere capo, per realizzare i primi prototipi.
Nel 1939, sulla pista prove de La Ferté Vidame, vicino Parigi, furono schierate circa 250 diversi prototipi di TPV, che furono ispezionate, una per una, molto attentamente da Boulanger. Le TPV scartate perché troppo basse, o per il bagagliaio piccolo, oppure perché troppo costose, venivano tirate cinque metri indietro, cosicchè dalla lunga schiera iniziale di prototipi non ne rimase che una decina. Tra queste bisognava scegliere quella da avviare alla produzione nell’arco di un anno. Il programma, infatti, era quello di presentare la TPV al Salone di Parigi del 1940 o, al massimo, a quello dell’anno dopo.
Il precipitare deli eventi e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale bloccò il progetto. I tedeschi invasero la Francia e per evitare che cadessero in mano del nemico, Boulanger ordinò la distruzione di tutti i prototipi. Temeva, infatti, che la TPV potesse essere prodotta ed utilizzata dai tedeschi per usi militari. I tecnici, in realtà, disobbedirono all’ordine e distrussero solo i prototipi che erano stati scartati, conservando quelli risparmiati dalla selezione per proseguire il lavoro che era stato avviato, aspettando la fine della guerra.
Dei dieci prototipi salvati dalla distruzione, tre furono nascosti in un sottotetto di una palazzina nella stessa pista prove, dove sono state scoperte alcuni anni fa durante un lavoro di ristrutturazione. Attualmente sono conservate nel museo Citroën nell’esatto stato in cui sono state ritrovate.
Le altre sette vennero smontate, ma almeno due caddero in mano alla Wehrmacht, che le trasferì a Wolfsburg dove Fedinand Porsche stava lavorando alla KdF-Wagen, l’auto del popolo voluta da Hitler. I collaboratori di Porsche provarono le TPV, ma le ritennero troppo leggere per essere impiegate sui campi di battaglia.
Nel frattempo, i tecnici Citroën continuarono lo sviluppo della vettura. Nella fabbrica occupata era consentito costruire solo veicoli industriali, ma i progettisti proseguirono a lavorare in segreto tra il centro studi al 48 di Rue du Théâtre a Parigi e la pista della Ferté, dove riuscirono anche a realizzare qualche prototipo.
Fu così che tra il 1941 ed il 1947 la futura 2CV prese la forma che l’ha resa famosa nel mondo. Il motore della TPV, un 2 cilindri raffreddato ad acqua, fu rivisto, grazie soprattutto alla moto BMW di Flaminio Bertoni, lo stilista varesino autore della Traction Avant e poi della DS19, che consentì all’ingegnere italiano Walter Becchia di studiare il sistema di raffreddamento ad aria, ideale per semplificare ulteriormente la meccanica, eliminando il radiatore dell’acqua, la pompa, i manicotti e perfino la guarnizione della testata.
La TPV era stata progettata rispettando le linee guida dettate dallo stesso Boulanger; la priorità assoluta era la sua funzionalità, non la bellezza, tant’è che Bertoni inizialmente non fu coinvolto. Ma quando nel 1945 s’iniziò a pensare concretamente alla produzione della TPV, lo stesso Boulanger dovette ammettere che il prototipo uscito dalla selezione che lui stesso aveva fatto cinque anni prima era veramente sgraziato. Convocò, perciò, Bertoni affinché mettesse mano a quelle improponibili linee.
Il designer italiano in poco tempo definì lo stile della futura 2CV, definendone la forma in maniera pressoché definitiva, eccezion fatta per il cofano anteriore dove lavorò per settimane fino al Salone di Parigi del 1946. Insieme al suo assistente Henri Dargent, andò a visitare l’esposizione per vedere cosa non dover fare per finire il loro lavoro. Al suo ritorno, in poco più di mezz’ora, il cofano era pronto. Inizialmente venne realizzato con una lamiera ondulata per alleggerire la struttura mantenendone però la rigidità. All’inizio degli anni ‘60, fu modificato utilizzando uno stampo con cinque nervature, con il quale si è arrivati sino alla fine della produzione, il 27 luglio 1990.
Fu così che il brutto anatroccolo TPV si trasformò nella 2CV, nata tra il primo affacciarsi delle nubi minacciose che accompagnarono l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e l’alba di una nuova era.
La presentazione della 2CV avvenne il 6 ottobre del 1948, al Salone di Parigi. Quando fu sollevato il telo e l’auto mostrata per la prima volta a pubblico e giornalisti, vi fu un momento di sconcerto: non somigliava a niente di quanto visto fino ad allora.
Grazie alla trazione anteriore internamente era molto spaziosa, mancando il tunnel della trasmissione; le sospensioni molto morbide ed il motore era così economico che consumava appena tre litri di benzina ogni cento chilometri. Il grande tetto in tela permetteva di caricare una scala a pioli, ma anche di risparmiare acciaio e peso.
Se la stampa specializzata manifestò scettiscismo sul futuro della nuova 2CV, l’accoglienza da parte del pubblico, invece, fu trionfale e le sue vendite schizzarono subito alle stelle.
Iniziava così la lunga marcia della 2CV che si arrestò solo il 27 luglio del 1990, con la produzione dell’ultimo esemplare, una V6 Charleston uscita dalle catene della fabbrica portoghese di Mangualde. - Continua -