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Domenica 30 maggio 1939 la Maserati 8CTF conquistava una clamorosa vittoria alla 500 Miglia di Indianapolis. Guidata dal ventisettenne pilota di casa Warren Shaw, tagliava il traguardo dopo una corsa di 4 ore e 20 minuti alla media di oltre 185 km/h.

Per Maserati non si trattava della prima esperienza nord-americana. All’inizio degli anni Trenta, Alfieri Maserati era stato invitato ad assistere ad alcune gare negli USA. L’anno prima la cessione del pacchetto azionario dell’azienda al Gruppo Orsi aveva permesso ai fratelli Maserati di concentrarsi sulla progettazione di nuove vetture da corsa. L’autorità sportiva internazionale aveva stabilito che, a partire dal 1938, sarebbero entrate in vigore delle regole più restrittive e la cilindrata non sarebbe più stata libera, ma in funzione del peso della vettura, fino a 3.000cc per i motori con i compressori. Ernesto Maserati, così, impostò lo sviluppo e la realizzazione di una nuova vettura denominata 8CTF sulla base delle nuove regole.
Il telaio era quello classico delle monoposto dell’epoca, con due longheroni in profilati d’acciaio e traverse; il motore era un 8 cilindri in linea in due gruppi di quattro fusi in blocco unico con la testata: da qui la sigla 8CTF: 8 cilindri, testa fissa. La cilindrata era di 2991,4 cc, con due carburatori e due compressori volumetrici per 350 Cv.
La Maserati 8CTF arrivava ad Indianapolis dopo alcune corse nel 1938 in cui aveva dimostrato il suo grande potenziale: il conte Carlo Felice Trossi aveva condotto in testa alcuni giri nel GP di Tripoli, oltre ad ottenerenla pole position nella Coppa Ciano. Luigi Villoresi, invece, aveva realizzato il giro più veloce alla Coppa Acerbo. Questi risultati avevano attratto diversi clienti, tra cui la scuderia di Chicago, la Boyle Racing Headquarters, di proprietà dell’irlandese Mike Boyle. L’obiettivo di Boyle era quello di vincere la 500 Miglia di Indianapolis, la più famosa corsa d’America, con una vettura gestita dalla sua scuderia. Prima di arrivare alla Maserati 8CTF, Boyle aveva partecipato a diverse edizioni della corsa con altre vetture: Summers, Cooper, Smith, ma sempre con scarsa fortuna.
All’inizio del 1939 il team manager del team Boyle, Harry Henning, arrivò a Bologna per comprare una 8CTF. La vettura, una volta arrivata negli USA, fu preparata per la corsa con ruote maggiorate e pneumatici Firestone; oltre ad adottare la livrea di colore amaranto della Boyle Racing.
Iscritta come “Boyle Special”, la guida fu affidata a Warren Shaw che, partito con il terzo tempo di qualifica ottenuto a quasi 208 km/h, si aggiudicò la gara, dopo aver condotto per 51 giri in testa e dopo una dura lotta con la Stevens-Winfield di Louis Meyer e la Adams-Sparks di Jimmy Snyder. Per Maserati si trattava di una vittoria storica: dal 1919 un’auto europea non riusciva a vincere ad Indianapolis.
Il trionfo del 1939 diede grande notorietà a Maserati sul piano internazionale ed alla successiva 500 Miglia, oltre alla vettura di Shaw, furono iscritte altre tre 8CTF. Shaw s’impose anche nel 1940, confermando la superiorità dell’auto per le prestazioni, l’affidabilità sulla lunga distanza e l’ottima tenuta di strada. Nel dopoguerra le 8CTF furono protagoniste non solo ad Indianapolis, ma anche sulle altre piste ovali degli Stati Uniti.
La carriera della 8CTF, una delle più lunghe e gloriose che possa vantare una monoposto da competizione, terminò nel 1950 dopo la mancata qualificazione di Bill Vulcanich alla 500 Miglia di quell’anno.
La HVA (Historical Vehicle Association) degli Stati Uniti nel 2014 ha registrato la Maserati 8CTF come la prima automobile di produzione non americana ad entrare permanentemente negli annali della Biblioteca del Congresso USA. Registrata fra gli “Standard for Heritage Documentation” del Ministero degli Interni, la documentazione fa parte del NHVR (National Historic Vehicle Register) e dell’HAER (Historic American Engineering Record).
Uno dei tre esemplari costruiti, numero di telaio 3032, quello che con Wilbur Shaw ha trionfato nelle 500 Miglia del 1939 e del 1940, è attualmente esposto all’Indianapolis Speedway Museum.

Foto: John Lamm