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Il Camel Trophy è stata una delle più dure e, sicuramente, la più famosa delle competizioni in fuoristrada del mondo. Nato nel 1980, fin da subito si rivelò un difficilissimo banco di prova sia per gli equipaggi sia per i mezzi, tant’è che venne chiamata “l’olimpiade del 4x4”, destinata a segnare l’immaginario collettivo, sinonimo stesso di avventura.
Il Camel Trophy nasce per un fortunato caso. Alla fine degli anni Settanta un gruppo di appassionati tedeschi riesce a farsi sponsorizzare dalla Reynolds Tobacco, proprietaria del marchio Camel, una spedizione nella Transamazzonica. Tre equipaggi tedeschi ed altrettante Jeep CJ6 per percorrere i 1.600 chilometri, dalla città costiera di Belem, alla foce del Rio delle Amazzoni, sino a Santarém, nell’entroterra brasiliano. Si tratta di una sfida senza precedenti, che dura dodici giorni al termine dei quali le tre Jeep sono da buttare, rivelandosi non abbastanza resistenti per superare le sollecitazione della traversata amazzonica.
L’anno successivo l’accordo tra la Reynolds Tobacco e Land Rover porta alla nascita ufficiale del Camel Trophy. A partire dal 1981 e per tutte le successive edizioni fino al 1998, protagoniste dell’evento, insieme agli equipaggi, saranno le versioni più recenti dei modelli della gamma Land Rover: Range Rover, Serie III, Ninety, One Ten, Discovery e Freelander. Fece eccezione la seconda generazione della Range Rover, la P38a, che non venne ritenuta al tempo idonea per quel tipo di competizione considerato il suo nuovo riposizionamento sul mercato. Tutti i veicoli erano verniciati nella classica livrea gialla che allora era un colore della British Motor Corporation, chiamato Sandglow. In totale sono stati 450 i veicoli Land Rover utilizzati nel Camel Trophy, sia dai partecipanti, sia come veicoli di supporto.
Tutte le vetture derivavano dalla produzione di serie ed erano preparate ed allestite dalla Special Project Division (che poi sarebbe divenuto lo Special Vehicle Operations) con portapacchi per carichi pesanti, verricelli, luci addizionali, protezioni del sottoscocca e gabbie anti-rollio interne, oltre a tutta una serie di equipaggiamenti per le spedizioni, la sicurezza ed i pernottamenti.
Il Camel Trophy divenne in due anni una competizione a livello internazionale, un’avventura globale che raggiunse tutti gli angoli della Terra, affrontando alcuni dei terreni e dei luoghi più impervi che l'uomo avesse mai conosciuto. Gli equipaggi erano composti da due concorrenti che dovevano non soltanto cimentarsi nella la guida in fuoristrada nelle condizioni più estreme, ma dovevano anche essere in grado di utilizzare i verricelli per districarsi nelle impossibili piste della jungla, o di costruire con qualunque tipo di tronco delle improvvisate zattere per traghettare le auto, o spingerle a mano all’occorrenza, tra il fango e sotto la pioggia. Il mito ed il fascino del Camel Trophy crebbe a tal punto che si toccarono quasi un milione di richieste di partecipazione.
La stretta associazione tra il Camel Trophy e Land Rover ebbe un grande impatto sull’immagine del marchio. La copertura stampa e tv mondiale esaltò le prestazioni e l’affidabilità dei mezzi, aggiungendovi quel tocco di glamour, di spirito d’avventura, di prestazioni al limite, fi fascino della sfida impossibile che contribuirono a farne crescere anno dopo anno il mito. Durante gli anni Novanta il Camel Trophy riuscì cogliere anche il “mood” dei tempi. Lo spirito di competizione, che non poteva non essere parte della gara stessa, si era sano, perché condiviso da tutti i partecipanti che si ritrovavano nella stessa comune situazione di affrontare gli elementi della natura, tant’è che si arrivò a premiare lo spirito di squadra, che da un certo punto in poi divenne anche un parametro decisivo per la vittoria finale.
Stranamente gli equipaggi britannici non parteciparono al Camel Trophy sino al 1986, probabilmente per una scelta legata alla distribuzione del marchio Camel nel Regno Unito. Nel 1997 la formula cambiò radicalmente con l'introduzione di numerose prove speciali come il kayak o l’orientamento, eliminando i percorsi in fuoristrada particolarmente duri. Per questo motivo, con l’edizione del 1998 nella Terra del Fuoco, Land Rover abbandonò il Camel Trophy. Qualche anno dopo, nel 2003, organizzerà una manifestazione simile, denominata G4 Challenge.

1981 SUMATRA
La storia del Camel Trophy inizia a Sumatra, dove avviene il battesimo del fuoco delle Land Rover. Gli organizzatori considerano che la vettura più adatta ad affrontare la giungla equatoriale fosse la Range Rover. Cinque equipaggi tedeschi, composti da otto uomini e due donne, affrontano i 1.600 chilometri tra la città settentrionale di Medan e Jambi, nell’estremo sud dell’isola. Le variabili condizioni climatiche che s’incontrano passando dalle montagne vulcaniche del nord ai paesaggi tropicali del sud si rivelano forse la prova più ardua da sostenere: l’eccezionale umidità e gli sbalzi di temperatura sono quasi più difficili da superare rispetto agli ostacoli del percorso che, tuttavia, non mancano. Gli equipaggi sono costretti a ricostruire ponti pericolanti oppure a controllare che il terreno sia in grado di sostenere il peso della Range. Nonostante le difficoltà, i cinque equipaggi e le loro Range arrivano fino in fondo. La vittoria va a Christian Swoboda e Knuth Mendel.

1982 PAPUA NUOVA GUINEA
Sulla scia del successo dell’anno precedente, il Camel Trophy inizia a trasformarsi da semplice gara ad avventura, oltre che ad allargare la partecipazione ad altre nazioni. La risposta degli appassionati è incredibile: arrivano 60.000 richieste dalla Germania, 10.000 dall’Olanda, 5.000 dall’Italia e 2.000 dagli USA. Alla fine rimangono solo otto equipaggi, due per nazione, per affrontare in dieci tappe, sempre sulle Range Rover, i 1.050 chilometri che separano Mount Hagen da Madang, nella parte più orientale e remota della Papua Nuova Guinea. Uno dei due equipaggi italiani composto da Giorgio Landi e Lorenzo Loreti conquista la testa della classifica dalla quarta tappa; un cappottamento a metà gara li mette fuori gioco, ma riescono in qualche modo ad arrivare al traguardo. Gare di regolarità e tappe a cronometro si alternano a percorsi di navigazione e orientamento. La pioggia è devastante ed il fango crea problemi di aderenza. Non mancano ponti in precario equilibrio lungo le strade di montagna. Frequente il ricorso ai verricelli, ed a volte è necessario anche ricorrere all’aiuto degli abitanti del posto. Le auto sono sollecitate all’estremo e la classifica generale cambia ogni giorno. Alla fine si impongono Cesare Giraudo, già terzo alla prima Parigi-Dakar, e Giuliano Giongo, guida alpina e scalatore.

1983 ZAIRE
Protagoniste le Series III 88” 2.3 diesel. Aumenta la partecipazione internazionale. Sette equipaggi in rappresentanza di Germania, Olanda, Portogallo, Svizzera, Spagna, Hong Kong e Italia che dovranno percorrere 1.600 chilometri da Kinshasa, capitale dello Zaire, a Kisangani, sulle rive del fiume Congo. Il percorso si snoda tra la giungla melmosa e la sabbia del deserto. Si parte il 6 aprile; dal quarto giorno, con l’inoltrarsi nella foresta tropicale, le difficoltà aumentano chilometro dopo chilometro. Agli imprevisti naturali, si aggiungono anche quelli provocati dall’uomo. In particolare, un incauto giornalista italiano, all’interno di una 109” di supporto, da inavvertitamente fuoco ad una tanica di benzina, distruggendo il veicolo. Una notte, invece, gli equipaggi, ormai a corto di gasolio, vanno alla disperata ricerca del punto di rifornimento, per poi scoprire che la cisterna è rimasta impantanata nella giungla a 14 miglia dal posto convenuto. Tre Land 88” fanno la spola con il campo base consentendo a tutti di riprendere il viaggio. Il 22 aprile il convoglio giunge a Kisangani, con gli olandesi Henk Bont e Frank Heji che festeggiano la vittoria. Gli italiani Aurelio Girelli, erpetologo, e Paolo Contegiacomo, pilota di mongolfiere, si aggiudicano il Team Spirit Award, il premio per lo spirito di squadra, che diverrà ufficiale solo nel 1995.

1984 BRASILE
Il Camel Trophy ritorna sui luoghi della prima edizione, ma seguendo un percorso diverso: partenza da Santarem ed arrivo a Manaus, dove il Rio Nero confluisce nel Rio delle Amazzoni. Dodici i team partecipanti che affronteranno la prova con le nuove One Ten. Oltre alle avversità che naturalmente bisogna affrontare quando si attraversa l’Amazzonia, si aggiunge una pioggia incessante che rende impraticabile il percorso; la deviazione studiata dagli organizzatori si rivelerà non meno difficile da affrontare. Ma un’altra decisione influisce sulla regolarità della gara: ogni team dovrà provvedere da solo alla manutenzione del proprio mezzo. La condizioni meteorologiche e l’impossibilità di potersi appoggiare a meccanici specializzati rendono ancora più arduo l’impegno dei concorrenti. Nonostante tutto, le dodici One Ten raggiungono il traguardo e l’Italia, con Maurizio Levi e Alfredo Redaelli, coglie il suo secondo successo in quattro edizioni.

1985 BORNEO
Il Borneo è la seconda isola più grande del mondo, con vasti territori inesplorati. Si parte da Samarinda, sulla costa orientale e, attraversando la giungla, si raggiunge il porto di Balikpapan. Ma i sedici team, a bordo delle Ninety 2.5 diesel, riusciranno a percorrere soltanto 500 chilometri dei 2.000 previsti. Cappottamenti, incidenti, pneumatici scoppiati, qualche concorrente ferito e poi il diluvio bloccheranno il convoglio nella melma della foresta tropicale. Sarà necessario l’intervento degli elicotteri per recuperare le Land ed i loro occupanti. I giudici, sin dalle prime fasi della partenza, sembrano avere un occhio di riguardo per gli equipaggi tedeschi; ed uno di loro, effettivamente, quello composto da Kaun e Strombach si aggiudicherà la vittoria. Ufficializzato in questa edizione il premio per lo spirito di squadra, il Team Spirit Award, vinto dalla coppia brasiliana.

1986 AUSTRALIA
Oltre ai padroni di casa, debuttano la Francia, la Gran Bretagna e la Malesia. Quattordici in totale gli equipaggi a bordo di altrettante Ninety. E’ l’edizione più grandiosa mai organizzata, sia per le nazioni coinvolte, sia per la lunghezza del percorso, ben 3.200 chilometri tra Cooktown e Darwin, coperti a tempo di record in appena tredici giorni. La gara, al solito, riserva una serie di impegnativi ostacoli da superare, a cui si aggiungono le tempeste di sabbia, i fiumi in piena da attraversare sulle zattere e qualche animale locale un po’ troppo invadente e non sempre amichevole. La superiorità dell’equipaggio italiano viene penalizzata nel corso delle ultime quattro prove speciali dal verdetto dei giudici. Daniele Terzi e Giorgio Albiero devono rassegnarsi al secondo posto per una manciata di punti alla spalle dei francesi Jaques Mambre e Michel Conrvallet. Il premio Team Spirit va ai padroni di casa.

1987 MADAGASCAR
La Range Rover torna ad essere protagonista in occasione del lancio del nuovo motore 2.4 turbodiesel della italiana VM. I quattordici team sono chiamati ad affrontare i 2.252 chilometri del percorso che separano le foreste tropicali del nord del Madagascar dall’arida savana meridionale, in un continuo mutare delle condizioni ambientali, con temperature che toccano anche i 45 gradi. Una serie di prove ai limiti dell’assurdo costringono gli equipaggi a muoversi in condizioni difficili, obbligandoli a viaggiare anche di notte tra acqua e fango, tra tempeste e piogge battenti. A questo si aggiungono le polemiche tra gli equipaggi e l’organizzazione che sembrerebbe voler favorire i nord-americani a discapito, soprattutto, degli italiani; un interesse dettato dal lancio della nuova Range Rover negli Stati Uniti. Il 26 marzo quattordici Range partono da Diego Suarez alla volta di Fort Dauphin. Al terzo giorno arriva la protesta dei giornalisti al seguito contro il regolamento. Dal quinto giorno, invece, la pioggia battente trasforma il terreno in un lago di fango e di traduce in ore e ore di fatica, guadi di ogni genere e notti insonni. Alle porte del deserto malgascio la coppia italiana composta da Mauro Miele, imprenditore di Busto Arsizio, e Vincenzo Tota, studente di medicina di Siena, viene fermata da un problema al differenziale. L’intervento provvidenziale di un emigrante toscano esperto di meccanica permette loro di ripartire. Alla fine dell’ottava prova il team USA arriva fuori tempo massimo. Invece di penalizzarli, i giudici li riammettono al quinto posto. Comunque sia, Miele e Tota, considerato il miglior equipaggio italiano che abbia mai partecipato al Camel Trophy, il 12 aprile conquistano la vittoria davanti agli USA. Il Team Spirit Award va alla Spagna.

1988 SULAWESI
Dopo le polemiche dell’edizione precedente, gli organizzatori decidono di far disputare le prove speciali alla partenza e all’arrivo, affidandone la responsabilità tecnica al rallista inglese Terry Harryman. Sarà un Camel Trophy sottotono, quasi una passeggiata tra le foreste e gli altipiani del Sulawesi. Le dodici One Ten affrontano 2.092 chilometri di sterrati e asfalto, con qualche incursione nella giungla, da Manado fino a Makassar. Non mancano, come nella migliore tradizione, i problemi, tra rotture e cappottamenti, ma il tutto concentrato nell’unica tappa veramente impegnativa: il viaggio di trasferimento dei primi giorni. Vince l’equipaggio turco composto da Gurel e Deveci che, è al suo primo Camel Trophy. Il premio per lo spirito di squadra va alla Gran Bretagna.

1989 AMAZZONIA
Arrivato al suo decimo anno, nel Camel Trophy inizia a cambiare qualcosa; il business inizia a dettare alcune regole del gioco. Si torna di nuovo sulla Transamazzonica. Il comitato organizzatore nord-americano stabilisce il divieto, per gli equipaggi, di entrare in contatto con le popolazioni locali. Il percorso evita la giungla vera e propria ed è prevalentemente sterrato, lungo 1.800 chilometri, quelli che separano Alta Foresta da Manaus. Ma senza tener conto della stagione delle piogge. Così, le quattordici One Ten quasi da subito si ritrovano a combattere contro un mare di fango. Per diversi giorni non vengono percorsi che pochi chilometri; si arriva a registrare una media di appena 800 metri in 24 ore. Riesce a vincere, per la prima volta, un equipaggio britannico, quello composto dai fratelli Bob e Joe Ives, mentre il premio Team Spirit se lo aggiudica il Belgio.

1990 SIBERIA
L’inizio del nuovo decennio porta con sé una serie di cambiamenti. Alla parte avventurosa si aggiunge anche un aspetto più spettacolare; gli itinerari si fanno più complicati, il regolamento cambia e si allarga il numero delle nazioni partecipanti. Simbolo di questo cambiamento è anche la Discovery che, arrivata sul mercato l’anno prima, aveva iniziato a rivoluzionare il mondo dell’offroad, divenendo l’immagine stessa del Camel Trophy. Per la prima volta, poi, il Camel Trophy, si trasferisce nell’emisfero nord del Pianeta: in Siberia. La magica atmosfera della foresta siberiana e gli scenari lunari del lago Bajkal prendono il posto delle giungle equatoriali. Sedici le nazioni partecipanti che affrontano le nuove e particolari insidie del territorio siberiano a bordo delle nuove Discovery 200 Tdi 2.5 diesel tre porte. I 1.600 chilometri da Bratsk a Irkutsk si snodano all’interno della foresta Taiga. La vittoria va agli olandesi Rob Kamps e Stjn Luyx, mentre il Team Spirit Award lo vince l’equipaggio delle Canarie.

1991 TANZANIA E BURUNDI
La novità di questa edizione è quello di attraversare il territorio di due nazioni, ripercorrendo la strada aperta dall’esploratore scozzese David Livingstone, tornando nuovamente alla scoperta delle sorgenti del Nilo, dopo 1.800 chilometri di un’Africa spettacolare e selvaggia. Protagonista la Discovery 5 porte appena lanciata. Partenza da Dar Es Salaam, in Tanzania, e arrivo a Bujumbura, in Burundi. Diciassette gli equipaggi al via che tornano a lottare contro le piogge torrenziali. La vittoria va all’equipaggio turco composta da Menderes Utku e Bulent Ozier, che vince il premio anche il Team Spirit Award; questo riconoscimento sarà, da qui in avanti, il principale criterio per assegnare la vittoria insieme alle prove speciali, per le quali viene istituito il premio Special Tasks Award, vinto per la prima volta dall’equipaggio austriaco.

1992 BRASILE E GUYANA
L’inizio dell’anno si rivela insolitamente secco in Guyana. Quindi, i sedici equipaggi devono combattere soprattutto la polvere rossa che si solleva da terra e che spesso si addensa in enormi nuvole che impediscono di vedere ed evitare le pericolose insidie del percorso. Tuttavia non manca l’acqua ed i guadi da superare, partendo a fine aprile da Manaus e, da lì, fino in Guyana. Quando le Discovery 200 Tdi non riescono ad attraversarli, si deve ricorrere alla costruzione di improvvisate zattere. Per la prima volta alcune tappe devono essere affrontate a piedi, come quella delle cascate Kaieteur. A Georgetown, all’inizio di maggio, a tagliare per primi il traguardo sono gli svizzeri Alwin Arnold e Urs Bruggiser. Il premio per il Team Spirit va agli USA, mentre il nuovo Special Tasks Award va ai francesi. L’equipaggio italiano era composto dal medico Luciano Nava e dall’istruttore ISEF Umberto Liuzzo, accompagnato da due giornalisti, il pilota-veterano Beppe Gualini ed il fotoreporter Max Filippo Leonardi.

1993 SABAH
Si torna nel Borneo, nello stato malese di Sabah. E tornano anche i tipici scenari che avevano caratterizzato le prime edizioni: sentieri nascosti dal fango e la giungla più profonda. A cui si aggiungono le insidie del Lost World, un’inaccessibile vallata del sud-est del paese. Per la prima volta Il Camel Trophy si svolge seguendo un percorso circolare che inizia e termina a Kota Kinabalu. Sedici le squadre a bordo delle Discovery 220 Tdi. Dopo molto tentativi, finalmente riescono a vincere gli Stati Uniti con l’equipaggio composto da Tim Hensley e Michael Hussey. I francesi s’impongono nelle prove speciali condividendo il premio con gli austriaci. Il Team Spirit Award lo vince il team delle Canarie, mentre gli italiani Giovanni Formica e Matteo Ghiazza si classificano all’undicesimo posto.

1994 SUD AMERICA
Infranto il tabù del superamento dei confini tra stati, si torna in Sud America per attraversane tre. Si parte, infatti, dalle cascate di Iguaçu in Argentina, per attraversare il Paraguay ed arrivare a Hornitos in Cile, passando dai bacini fluviali alla giungla, dalla savana alle Ande, al cuore dell’Atacama, il deserto più arido del mondo. Temperature ed umidità variano di conseguenza, passando da un estremo all’altro: rispettivamente dai meno 20 ad oltre 40 gradi, dallo 0 al 100 per cento. Dopo 2.590 chilometri, coperti in tre settimane, la vittoria va agli spagnoli Carlos Martinez e Jorge Corella, che vincono anche il premio per le prove speciali, mentre quello per lo spirito di squadra se lo aggiudicano i sudafricani.

1995 MUNDO MAYA
Il Camel Trophy sbarca in centro America per ripercorrere i luoghi che hanno visto nascere e prosperare la civiltà dei Maya. Dopo la spettacolare partenza dalla piazza del tempio di Lamanai, in Belize, i venti equipaggi a bordo delle Discovery 300 Tdi, attraversano il Messico, il Guatemala, El Salvador e l’Honduras. Superando a fatica sentieri immersi nella vegetazione tropicale, i concorrenti vanno alla scoperta di alcuni dei più suggestivi siti archeologici del mondo. Le squadre raggiungono Xunantunich dopo aver avuto la meglio su un caldo insopportabile e un’umidità al massimo. L’edizione viene dominata da Nemec e Rocejdl della Repubblica Ceca che conquistano anche lo Special Tasks Award. I russi vincono il premio Team Spirit. L’equipaggio italiano era composto dagli italiani Stefano Bianconi e Matteo Pellin.

1996 KALIMANTAN
Si torna per la terza volta nel Borneo per quello che, a detta di molti, sarà l’ultimo vero Camel Trophy. Venti le Discovery al via, tra cui quella degli italiani Cristiano Bertolani e Giampaolo Giusti, che partono da Balik Papan per affrontare ancora una volta la giungla più fitta. Le condizioni meteorologiche e le continue deviazioni costringono gli equipaggi a ripetere i gesti di un tempo, ritrovando così quel senso di solidarietà e quello spirito che s’era un po’ smarrito. A Pontianak, dopo 1.850 chilometri, sono i greci a conquistare la vittoria, aggiudicandosi anche il Land Rover Award, messo in palio per la prima volta dalla casa di Solihull. Il premio Team Spirit se lo aggiudica il Sud Africa, mentre l’ultimo Special Tasks Award va ai russi.

1997 MONGOLIA
Cambia tutto. Non c’è più soltanto il fuoristrada al centro del Camel Trophy, ma entrano in gioco anche altre discipline, come la mountain bike ed il canottaggio. Cambia anche l’equipaggiamento delle Discovery e la livrea; nuovo il portapacchi sul tetto, realizzato per trasportare anche un kayak e due bici. Le nuove prove speciali a cui sono chiamati i concorrenti, oltre alla guida, richiedono una preparazione atletica forse superiore a quella necessaria per le prime edizioni. I venti team partono da Ulan Bator alla scoperta della Mongolia, attraversando il deserto di Gobi. L’equipaggio austriaco composto da Stefan Auer e Albnecht Thousing prende la testa della classifica alla fine della seconda tappa e non la molla sino all’arrivo a Kharakorum. La Romania vince il Land Rover Award, mentre la Svezia quello per lo spirito di squadra.

1998 CILE E ARGENTINA
Si torna in Sud America, tra Cile e Argentina, in uno scenario, quello dei ghiacciai, non usuale per le Land Rover, più a loro agio nelle giungle equatoriali. La neve era stata già stata affrontata in Mongolia e sulle Ande, ma senza che fosse la protagonista. Dal punto di vista organizzativo si tratta di un ritorno alle origini, senza più tappe obbligate e le prove accessorie. Si parte da Santiago del Cile con destinazione Ushuaia, nella Terra del Fuoco. Dopo il via ogni equipaggio può tracciare la sua rotta, con il solo obbligo di rispettare quattro passaggi obbligati.
Tra lo scetticismo generale, viene scelta la nuova, compatta Freelander, considerata poco idonea a superare le proibitive condizioni ambientali. Per questo e per trasportare tutta l’attrezzatura necessaria che difficilmente sarebbe entrata nella piccola Freelander, ogni team è affiancato da una Defender 110. Con il passare dei chilometri le venti Freelander si dimostrano, invece, molto più capaci di quanto si pensasse. Anzi, in un paio di casi sono proprio loro a tirare fuori dai guai le Defender, meno agili e più pesanti sulle distese innevate. A seconda dell’itinerario scelto, la lunghezza percorsa varia tra i 5.000 e gli 8.000 chilometri. La traversata si conclude a Ushuaia, la città più meridionale del mondo, dove si laureano vincitori i francesi Mark Challamel e William Michel; i sudafricani conquistano il Team Spirit Award, mentre le spagnole Emma Roca e Patricia Molina vincono il premio Land Rover, il primo team tutto al femminile ad affermarsi nella storia del Trophy. Gli italiani Fabrizio Piston e Michelangelo Opraldi vincono la prova di kayak.

EPILOGO
Le scelte degli organizzatori, con l’introduzione delle prove multi-disciplinari e la soppressione dei percorsi in fuoristrada più impegnativi, ma anche le crescenti polemiche legate all’ambiente, portano il Camel Trophy ad un inevitabile declino. Termina così, alla fine del mondo, l’epopea di Land Rover nel Camel Trophy, una manifestazione che comunque rimane per sempre indissolubilmente legata al marchio. L’edizione 1999 pur programmata in Perù non viene disputata. La Camel tenta di rilanciare la manifestazione nel 2000 nelle isole di Tonga e Samoa, un evento prevalentemente “acquatico”. Sarà l’ultimo atto delle Olimpiadi del 4x4. La Honda fornisce i mezzi, le agili CR-V. Ma i mezzi che forniranno l’appoggio ai SUV giapponesi saranno ancora le inarrestabili Defender.